En
las nostras afliccions Nelle nostre afflizioni
Prompta
seu a consolarnos Pronta siete a
consolarci
Y
de aquella à lliurarnos Da
quella liberarci
En
totas les ocasions in tutte le occasioni
Y las
nostras oracions nelle nostre orazioni
Vos
fassin intercessora Vi facciano intercessora
Siau
... Siate
...
La
composizione è molto più lunga. La parte da me qui trascritta
riporta la grafia usata dal Toda.
Pubblicato nell'aprile 1985 su "Nuova Comunità".
Parte VI
Con
tanta scarsità di documenti, sulla base di ricordi talvolta confusi
e lontani, non posso essere esauriente nell'esaminare periodi molto
distanti da noi, soprattutto mancando una traccia certa sull'età
delle composizioni.
Non
è stata scritta una sola nota di quei componimenti che nella
raccolta del Toda sono chiamati canzoni.
Non
rimane che dipanare la matassa sulla scorta dell'unica testimonianza
orale vivente, il signor Sanna "Cochetta", per il quale
queste composizioni ritenute antiche sono state da lui apprese in due
versioni musicali: una sarda, l'altra sardo-algherese.
Prima
di parlare del momento più importante della musica algherese, non mi
rimane che citare ancora un testo che come tema e struttura può
essere assimilato alle composizioni della scuola siciliana della
corte di Federico Secondo. Certamente medievale, da convincere lo stesso
Toda a definirla "cansò
de amor que tè tot lo caracter de un romans vell".
Mariner,
bon mariner,
que
Deu vos donga bonansa,
vist
haveu y conegut
el
meu amador de Fransa?
Si
può continuare a citare "canzoni" così chiamate, come
quelle de "Lu sidaru" del 1820-1847, ma, come al solito,
non vi è per queste un ricordo musicale. Anzi, si potrebbe azzardare
l'ipotesi che questi versi non venissero cantati o che, essendo
questi dei poemetti, ricalcassero gli schemi melodici usati dai
"cantores" sardi nelle gare di improvvisazione.
D'altronde,
secondo testimonianze storiche, sembrerebbe che i Catalani approdati
nell'Isola e stanziatisi per un certo periodo in Alghero e
successivamente estintisi, fossero rappresentati da soldati e da
galeotti. Non si capisce quindi come questi potessero lasciare tracce
di musica in un'Isola che nei millenni precedenti aveva codificato le
sue espressioni musicali che sono arrivate intatte e genuine fino ai
nostri giorni.
Questa
era la situazione all'inizio del secolo, appresso alla venuta del
Toda che si era guardato dal riportare nel suo volumetto tutti gli
aspetti della musica algherese come li aveva trovati, essendo
interessato a ricercare quelle tracce di catalanità che, essendo
esigue, erano state assimilate dalla cultura sarda.
Il
merito di aver conservato al lingua va alla popolazione sarda che ad
Alghero ha appreso il lessico catalano adattandolo alla sintassi
della lingua sarda.
Le
stesse popolazioni sarde, riappropriatesi della città, hanno
continuato secondo il loro costume ad accogliere ed ospitare in
questo porto la gente di mare trasferitasi dalla penisola italiana.
Vedremo
in seguito come questo fenomeno abbia influito sulla musica
algherese, soprattutto per quanto riguarda la produzione di un certo
periodo.
Articolo
pubblicato nel maggio 1985 su "Nuova Comunità"
Parte VII - Il Festival 1985
Il
18 maggio 1985 nel Teatro Selva si è svolto l'ottavo Festival della
Canzone Algherese.
Questa
manifestazione è un significativo saggio di quanto gli operatori del
settore musicale propongono nell'attualità. Un momento di sintesi e
di proposta nell'ambito del nostro microcosmo culturale.
Tutto
confezionato con uno squisito sapore casereccio, nel quale ci si
riconosce ed è bene tuffarsi.
La
sala è stracolma di spettatori, il pienone, e tanta gente in piedi
quando il sipario si alza ed è tutto un susseguirsi di sorprese,
frammiste alle immancabili, simpaticissime, rispettive disfunzioni di
uno spettacolo in diretta fatto da dilettanti.
È
l'arte più viva, quella vera, quella degli uomini così come la
producono prima di manipolarla con la scuola e il tecnicismo. Niente
feticci, tutto è immensamente grande e contemporaneamente
piccolissimo.
A
tratti l'amplificazione viene a mancare; nel chiudersi, il tendone
rovescia il microfono che, con un fracasso infernale, batte
sull'impiantito del palcoscenico; gli strumenti devono essere
accordati ed è estenuante l'attesa dell'inizio del brano.
I
presentatori usano un'infinità di lingue rendendo del tutto
incomprensibile la nazionalità alla quale appartengono.
L'invadenza
dell'organizzatore stiracchia paurosamente le lungaggini dello
spettacolo, gli inciampi sono innumerevoli, il pubblico si diverte da
matti.
Campanile di Santa Maria - Tempera di Franco Ceravola Rosella
È
la festa dei giovani, sono i nostri ragazzi ad esibirsi, sono bravi,
fantasiosi, spigliati, padroni della musica e degli strumenti. Voci
di cantanti veri, come quelli reclamizzati dai mass-media, come
quelli che guadagnano fior di milioni in una sola serata.
Macchiette
e cabaret, majorettes e cuori infantili sono il contorno delizioso di
questa insalata russa del nostro festival. Lo spettacolo è una vera
e propria maratona, si sa pressappoco quando inizia ma non si sa
quando finisce.
Dietro
le quinte nessuna emozione, nessuna rivalità; è la festa di una
grande famiglia che si ritrova con le proprie cose per sentirsi più
vicina, più autentica.
Solo
qualche autore firmatosi con pseudonimo si aggira tra le file delle
sedie e la folla, in piedi, ansioso, alla ricerca di un trionfo che
sarà banalmente ripetitivo ed effimero. Il contenuto delle
composizioni quest'anno è a tema unico.
A
parte le arcadiche affermazioni per un perduto Eden di una natura
bella e incontaminata, vagheggia un generale senso di angosciosa
solitudine esistenziale con riferimento ai poveri (fantasmi del
passato) e a malati.
La
musica è decisamente quella leggera, internazionale con, in qualche
composizione, chiara e più positivamente marcata influenza della
musica tradizionale sarda.
Tutte
le canzoni sono sponsorizzate da ditte locali, che offrono
abbondanza di trofei per cui nessuno è scontento, tutti
portano a casa un qualche segno di questa premiata fatica e buona
volontà.
Si
arriva alle due del mattino quando il pubblico stremato dall'allegria
e dall'estenuante attesa della conclusione di una scenetta, inizia a
protestare: "Basta, è ora di finirla!"
E
mentre sul palco si replica la canzone vincitrice, gli spettatori
fanno ressa alle porte d'uscita per ritrovarsi all'aperto e respirare
una boccata d'aria fresca da conciliare con il prossimo piacevole
torpore del sonno.
Pubblicato
nel numero di giugno 1985 di Nuova Comunità
Parte VIII
Dopo
la breve parentesi di maggio, dedicata al festival della canzone
algherese, riprendo l'illustrazione della mia indagine sugli aspetti
della musica e delle canzoni della nostra città.
Siamo
ormai giunti agli inizi del ventesimo secolo e, nella piccola
Alghero, che si sta liberando dalle ormai antiche mura difensive,
esplode, in un gruppo di intellettuali borghesi, il desiderio della
ricerca di un'identità linguistico-culturale diversa da quella sarda
e italiana.
"Intorno
al 1906", come racconta l'avvocato Antonio Ballero nel suo libro
"Cara de Rosas" anche Alghero ebbe la sua tardiva Agrupaciò
catalanista denominata Palmavera.
Antonio
Ballero dice anche che tale movimento culturale fu attivato da
giovani "...preoccupati dalla possibilità di poter purificare
il loro dialetto per allacciarsi in senso letterario e linguistico
alla madre della tradizione gloriosa. Una ingenuità questo ritorno
al catalanismo pure in una isoletta linguistica premuta, intorno, dal
sardo logudorese, insidiata dalla lenta, continua, irresistibile
italianizzazione".
Rimando
coloro che volessero conoscere tutto quanto dice Ballero su questo
movimento alla lettura del suo libro. Io dirò ancora soltanto che
questi giovani furono sollecitati e incoraggiati da chi in Catalogna
si occupava di questi fenomeni letterari. Cito ancora Ballero:
"... non si impensieriscano per l'ignoranza dell'ortografia
catalana, per ora possono redigere i loro articoli in algherese
fonico e dire solo come pronunziano ..."
Questo
episodio ha una importanza fondamentale per capire come è potuto
succedere che ancora oggi si parli di Alghero come di una città
catalana, degli algheresi come di catalani, della musica algherese
come di musica catalana.
Personalmente
reputo uno di più grandi difetti dei Sardi la loro eccessiva
propensione per le cose straniere, sino a precipitare nella più
sciocca esterofilia.
Io
vorrei far notare a quei giornalisti sardi che continuano a parlare
di Alghero come della "cittadina catalana", che si finisce
con il cadere nel ridicolo esprimendosi così: "l'amministrazione
catalana rasenta la crisi ... i dirigenti del partito esamineranno la
rivolta del PSDI catalano ..." e così via, poiché sono certo
che se tali definizioni venissero lette in Catalogna potrebbero avere
per i veri Catalani il sapore di azioni di spionaggio.
Queste
considerazioni ci portano un po' fuori tema, ma il mio desiderio è
quello di cercare uno spiraglio nella più profonda oscurità
dell'ignoranza.
L'Agrupaciò
Palmavera produsse quindi musica algherese forse nella convinzione di
riattivare una tradizione catalano-algherese che non si capisce bene
se sia mai esistita. Non siamo riusciti sino a questo momento ad
averne la certezza.
D'altronde
della musica nazionale tradizionale catalana che accompagna il ballo
"La Sardana" non si sa ad Alghero assolutamente niente, né
mai alcuno ne ha fatto accenno. La Sardana, guarda caso, gli stessi
catalani affermano, non ha nulla a che vedere con la Sardegna.
Barcellona - Monumento alla Sardana
La Sardana è un ballo tondo che, a mio parere, trae ispirazione da "su ballu tundu" sardo.
Pubblicato
nel numero di luglio-agosto su "Nuova Comunità".
Parte IX
L'Agrupasiò "La Palmavera" fu costituita agli inizi del XX secolo
assumendo una denominazione forse riferita ad un fatto culturale di
rilevante importanza che in quegli anni si verificò nella campagna
algherese, cioè lo scavo del complesso nuragico Palmavera ad opera
dell'archeologo Antonio Taramelli nel 1905.
Fra
i numerosissimi reperti rinvenuti si trovò uno zufolo d'osso a
testimonianza del fatto che nell'algherese una tradizione musicale
autoctona aveva diversi millenni di vita antecedenti alla
conquista aragonese. Ricordo inoltre che nei primi anni del novecento
era attivissimo il teatro civico ove si effettuavano le stagioni
liriche frequentate logicamente e principalmente dalla classe
nobile-intellettual-borghese.
Altro
fenomeno musicale fu l'approdo in città delle melodie napoletane di
Piedigrotta che venivano importate dai pescatori di corallo di Torre
del Greco.
Queste
le due fonti alle quali i musicisti della Palmavera attinsero le loro
composizioni, perché nella ricerca di una fuga dalla tradizione sarda
rimasero comunque distanti dalla cultura musicale catalana che non
conoscevano affatto data l'assoluta mancanza, per i tempi, di mezzi
di trasmissione diversi da quelli orali, riguardanti questa
espressione artistica.
Le
arie del melodramma italiano arrivavano con le compagnie liriche, ed
era quasi certamente possibile anche se con qualche difficoltà
venire in possesso delle partiture, ugualmente dicasi per le melodie
napoletane che nel porto saranno state presenti nell'arco dell'intera
giornata, ripetute con assiduità dai nostalgici ceins (corallari).
Questi
i soli mezzi di trasmissione della musica, quindi come sarebbe stato
possibile produrre ad Alghero musica catalana non essendovi in quegli
anni alcuno scambio concreto con quella che un poeta della Palmavera,
Antoni Ciuffo, con lo pseudonimo Ramon Cravagliet (sassarese secondo
recenti ricerche di uno storico algherese) definì "l'agognata
patria" nei suoi versi che ora sono stampigliati sulla stele
posta nei giardinetti della Mercede in ricordo del gemellaggio con la
città catalana di Tarragona:
De
la banda de ponent /Verso il ponente
Hi
ha una terra gliuna gliuna /c'è una terra lontana lontana
És
la nostra Catalunya /è la nostra Catalogna
Beglia,
ricca i rinascenta /bella, ricca e rinascente
Forse
la cosa più invitante e che stimolava il trasporto del poeta della
Palmavera era la ricchezza catalana,con la quale la sua poverissima
Sardegna, poco attraente in quegli anni sotto questo aspetto, non
poteva certo competere.
Juan
Pais, musicista, compose la serenata che sarebbe diventata in seguito
l'inno della catalanità algherese dal titolo "Serenara a
Tereseta" conosciuta con il nome di "Daspeltata", la
prima parola del testo.
La
serenata è una composizione generalmente inserita nel melodramma. La
nostra in effetti ha due marcate influenze, sia nella musica che nel
testo, che le derivano dal melodramma italiano e dalle serenate
napoletane.
La
musica che accompagna la strofa è decisamente classicheggiante,
mentre quella del ritornello si accosta maggiormente al folklore
napoletano. I versi del testo, di Ramon Cravagliet, sono ispirati
dalle tematiche napoletana fatte di richiami dal sonno, di voci
tristi nella notte, di chiari di luna, etc. cioè forse quanto di
meno catalano si possa immaginare.
Rimane
il lessico catalano-algherese che ha la funzione di dare alla
composizione una connotazione culturale equivoca se la si riferisce
al catalanismo, ma che invece acquista un'identità inconfondibile se
riferita alla nostra città dove varie influenze ed accidenti storici
si fondono creando una nuova curiosa originale cultura: l'Algherese.
Un
elemento di grande importanza è inoltre dato dagli strumenti
musicali che tradizionalmente accompagnano le canzoni algheresi e che
sono la chitarra e il mandolino. Sono due strumenti musicali
caratteristici delle musiche del napoletano. In Catalogna lo
strumento che accompagna le sardane è la "tenora", uno
strumento a fiato. In un pezzo musicale del complesso "La
Trinca" che riguarda la "Festa Major" di Barcellona,
ad un certo punto si dice: "Arriba l'hora de ballar sardanes, ja
es posa la tenora e refilar...". Ad Alghero non si è mai
utilizzato tale strumento musicale.
Gli strumenti musicali della
tradizione sarda sono le launeddas e anche queste non sono presenti
nel panorama della musica algherese.
Si può dedurre quindi che
chitarra e mandolino non arrivano ad Alghero né dalla tradizione
sarda né da quella catalana.
Nota
al testo: i nomi e le parole algheresi sono scritte così come si
pronunciano e non secondo la grafia catalana, onde agevolarne la
corretta lettura.
Pubblicato
nel settembre 1985 su "Nuova Comunità"
Parte X
In
seno all'Agrupasiò "La Palmavera" si raccolsero
soprattutto poeti. La musica fu complementare, difatti i componenti
dell'ormai storico sodalizio si cimentarono ben poco con questa
disciplina, per cui fu scarsa anche la produzione; di questa due o
tre brani sono giunti sino a noi con tale incertezza delle
composizioni e della loro esecuzione che ancora oggi vi sono
inesattezze e differenze a seconda di chi le interpreta. La stessa
"Daspeltata" (Svegliati) la si canta con qualche piccola
variazione rispetto la partitura originale, tanto più che prima di
esserne venuto in possesso avevo appreso dalla tradizione orale una
melodia un po' diversa, frutto dell'adattamento ad una esecuzione
popolaresca, meno "classicheggiante".
Altre due
composizioni, screditate dai cultori alla tradizione catalana, "La
Pasturata" e "A la vora de la mar", suppongo che
siano state importate dalla Catalogna nel periodo della Palmavera,
dal momento che lo stesso Toda non le cita nel suo libro. Inoltre la
struttura del verso ed il lessico usato sono leggermente diversi
dalla parlata algherese e molto vicini a quella catalana. I Catalani
affermano che queste composizioni sono conservate dalla loro
tradizione e ancora oggi eseguite.
Tuttavia questa mia ultima
supposizione non è suffragata da alcuna prova soprattutto perché
non vi è alcuna possibilità di datazione. A questi frammenti della
tradizione musicale algherese si sovrappone un lungo tempo di
silenzio.
Le due guerre mondiali fanno cantare strumenti diversi e
la presenza del suono della morte non lascia spazio ad altri
strumenti se non a quelli dell'angoscia e del terrore.
Via Principe Umberto con le case sventrate dalle bombe degli "alleati".
(Foto 18 maggio 1943 di Arturo Usai)
Finita
la guerra nel 1945 inizia il periodo della ricostruzione. Alghero ha
subito spaventosi bombardamenti, ed il tessuto urbano del centro
storico è ancora cosparso dei cumuli delle macerie degli edifici
distrutti.
La povertà domina nelle faticose giornate che ci
allontanano dai lutti e dalle rovine. Rinasce la speranza, ritorna la
musica delle chitarre e dei mandolini.
Anche da noi, come nel
resto d'Italia, i soldati dell'esercito di liberazione lasciano
traccia delle loro canzoni, ed io come tutti i miei coetanei, in
gruppo per le strade, nei momenti di euforia cantavo "Aulera
pistuldì, aulera pistuldà"
Dopo poco tempo con la ripresa
economica, le case si riempiono della musica trasmessa dalla radio,
ed essenzialmente di musica leggera italiana e di canzoni
napoletane.
Nasce il festival di Sanremo e rivive in una nuova
splendente cornice il festival partenopeo di Piedigrotta.
Le
canzoni algheresi si sentono raramente. Sono repertorio di serenate
notturne, delle scampagnate, dei canti nelle bettole, degli
stabilimenti dove si lavora la palma nana, "lu crino".
La
più popolare è "Daspeltata" seguita da "O gliuna
veglia"; queste sono infatti le prime due melodie da me apprese
ed amate nell'adolescenza, prima che capissi l'importanza ed il
valore della mia cultura.
Pubblicato
nel numero di ottobre 1985 di "Nuova Comunità"
Parte XI
La
volta scorsa mi sono fermato intorno agli anni cinquanta.
Nel
decennio successivo si verifica una nuova ripresa della canzone
algherese alla luce di un avvenimento che ripropone alla città la
tematica dl suo folklore. Infatti un gruppo di algheresi partecipa
alla fortunata trasmissione radiofonica "Il campanile d'oro"
consistente in una sorta di sfida canora fra le regioni italiane
attraverso il loro folklore. La Sardegna era rappresentata da
due cori sardi, la "Brigata canora" di Alghero ed il coro
di Aggius. In finale arrivarono la Sardegna, la Sicilia, la
Puglia e la Lucania. Il campanile d'oro fu assegnato alla Sicilia, ma
il risultato non piacque a molti poiché la Sardegna aveva
suscitato grande entusiasmo di pubblico. Per gli algheresi
vi fu una particolare attenzione in quanto suscitò grande curiosità
la differenza fra il loro idioma e gli altri linguaggi. Il
gruppo algherese era composto, tra gli altri, da Pasqualino Pirisi
accompagnato da sua moglie, dall'avvocato Ballero, da Isabella
Montanari e da Antonella Salvietti. Fece un'esperienza favolosa per
cui, anche qualche tempo dopo, pur essendo oramai sciolto il
sodalizio, alcuni di essi, rimasti saldamente legati a quel ricordo,
tentarono di costituire un coro che continuasse ad eseguire le
canzoni algheresi.
A
questo gruppo fui aggregato nel 1957, assieme a mio cugino Angelo
Ceravola e a Giovannino Niolu. Angelo e Giovannino erano gli
accompagnatori con la chitarra e io divenni una delle voci soliste
del coro. I promotori di questa iniziativa furono Bastianino Loi e
Antonella Salvietti con il fratello Mario Salvietti. Tutti e tre
avevano fatto parte della brigata canora del "Campanile d'oro".
Così entrai nel mondo della canzone algherese anche se il
nostro interesse di ragazzi era maggiormente rivolto verso la
musica leggera internazionale, tanto più che in quel periodo
cominciava ad espandersi nel mercato la musica anglosassone, dapprima
con l'arrivo dall'America del rock'n roll, poi man mano con
tutte le varie espressioni e variazioni di questa forma musicale.
Divenni un esponente della musica algherese ed ebbi modo di
apprendere quanto vado raccontando in questa serie di articoli. Il
gruppo aveva l'ambizione di conservare le canzoni algheresi della
tradizione e di proporre nuove composizioni di
autori contemporanei. Fra i più programmati nei repertori vi erano i
fratelli Dalerci, Pasquale Gallo, Loi, il maestro Nannarelli e i
cugini Ceravola.
Ciò
che si riuscì ad ottenere fu, come ho già precisamente detto, un
rinnovato interesse per questa espressione del sentimento
cittadino, anche se la forma rimane più o meno improvvisata, con
poche basi musicali, e soprattutto frutto di un volontariato
mirabilmente eroico. Ad onor del vero non voglio tralasciare di dire
quanto era avvenuto qualche anno prima della trasmissione del
"Campanile d'oro", quindi dovrò accennare ad un altro
fatto sufficientemente emblematico.
Il
gruppo del "Campanile d'oro", nato nell'ambiente
universitario aveva, per spirito goliardico, messo in scena al teatro
Civico, alcuni spettacoli musicali. Nel libro "Cara de rosas"
l'avvocato Ballero, a suo tempo esponente della compagnia, racconta
tutta la vicenda ed i vari spettacoli realizzati. Riferisce che,
partiti da uno spettacolo in lingua italiana, nel quale erano stati
inseriti brani con testo in algherese, avevano notato che il
pubblico aveva mostrato di gradire maggiormente questi ultimi, per
cui finirono per rappresentare commedie musicali interamente scritte
e cantate in algherese. Il più rappresentativo autore di questi
lavori fu il dott. Gavino Ballero, fratello di Antonio, il quale,
riprendendo dal sacro testo del Toda le poesie de "Lu Sidaru"
compose un lavoro teatrale dal titolo omonimo, il cui successo
ebbe in città risonanza per un buon ventennio.
Pubblicato
nel gennaio-febbraio 1986 su "Nuova Comunità"
Parte XII
Intorno
agli anni settanta nasce il " Festival della Canzone Algherese
", per cui, la produzione di canzoni, viene fatta esplodere da
questa manifestazione, copia dei quelle nazionali. Comunque
l'agonismo ha un suo fascino e stimola alla partecipazione, io stesso
non ne fui immune, ed in alcune edizioni partecipai come cantautore
anche se non ottenni mai una vittoria. Ciò che comunque mi interessa
maggiormente è l'analisi di ciò che successe alla Canzone
Algherese.
Gli
autori non ricercarono più un legame con il passato, anche se
recente, ma si misurarono con il folclore internazionale,
maggiormente con la musica leggera internazionale. Si è quindi
perduta anche quella vena partenopea che era stata presente in tutta
la produzione del dopoguerra. La mia esperienza più recente è stata
la partecipazione al concorso "Una canzò pe' l'Istiu"
nel Luglio dell' 84. Indubbiamente questo nuovo orizzonte della
canzone Algherese si arricchisce di contenuti e di espressività. In
effetti i ragazzi di oggi hanno un maggior bagaglio di cultura
musicale, sono più aperti alle esperienze altrui e di queste sanno
servirsi. Forse nella nostra gioventù fummo anche noi portatori di
gradevoli novità, anche se ci siamo un po' impegnati a conservare il
carattere delle canzoni della tradizione che per noi, anche se
recente, fosse la continuità di uno degli aspetti della nostra
cultura. Per tornare comunque al tema principale affrontato in questa
serie di articoli spero sia emerso con sufficiente chiarezza che la
canzone algherese non è frutto di una tradizione musicale in quanto
non è mai esistita una Musica Algherese, come invece è nella
tradizione Sarda nella quale sin da epoche remote si sono codificate
melodie ed armonie assolutamente originali. Come in tutte le Culture
che hanno una vera tradizione musicale questa immancabilmente
accompagna il ballo, manifestazione assolutamente assente nella
popolazione algherese. La recente vicenda delle nostre canzoni non ha
per antenata la tradizione musicale dei Catalani.
Siamo
in presenza di canzoni popolari riscontrabili in quasi tutte le città
del mondo, soprattutto in Italia dove sono celebrate con il canto le
bellezze ed il rapporto d'affetto con la propria città.
La
storia più recente è che dopo la fine delle manifestazioni del
Festival della Canzone Algherese, per qualche tempo si è continuato
ad organizzare spettacoli con la presentazione delle nostre canzoni.
E' nata una copiosa produzione di CD per soddisfare il mercato
turistico, e ciò ha portato le nostre canzoni in tutte le parti del
mondo. Una delle televisioni locali le manda in onda quotidianamente.
La nostra musica è ben presente in città. Piuttosto un fenomeno di
arretramento si è avuto nella produzione di nuove melodie dovuto
all'allontanamento dei giovani musicisti, la quasi totalità dei
quali non parla l'algherese, sia perché nati in famiglie di lingua
Sarda sia perché nati da coppie di differenti parlate per cui ha
trionfato l'Italiano.
A chiusura di questa serie di articoli sul
tema specifico della Canzone Algherese mi corre l'obbligo di annotare
che pur avendo scritto un copioso numero di testi di canzoni nella
parlata della ormai esigua minoranza di cittadini di Alghero, non ho
mai sospettato una mia diversa identità che non fosse quella di
Sardo di cultura Sarda nato e cresciuto nella sardissima Città di
Alghero.
Franco Ceravola Rosella