sabato 15 febbraio 2020

Alghero: la sua musica


ALGHERO: LA SUA MUSICA


La Torre di S. Giacomo (o dei cani) - tempera di Franco Ceravola Rosella




Nel 1984 Franco e Angelo Ceravola hanno portato avanti una ricerca sulla lingua catalana di Alghero. Hanno consultato dei testi, alcuni documenti e inoltre hanno effettuato delle interviste ad alcuni ospiti della casa di Riposo situata nel Viale della Resistenza ad Alghero. Sono arrivati a interessanti conclusioni e infine Franco ha deciso di pubblicare le sue considerazioni. 
Questa è una serie di dodici articoli di Franco Ceravola Rosella sulla musica algherese pubblicati nel mensile "Nuova Comunità" nel 1984-1985.

Franco Ceravola (Alghero 1 dicembre 1940 - Alghero 26 ottobre 2023)


 Parte I
Il mese di settembre 1354 il re Pietro il Cerimonioso ordinò la cacciata degli algheresi che furono sostituiti da sudditi fedeli alla Corona di Aragona. Con l'importazione dei coloni catalani, la lingua sarda viene estromessa dall'interno delle mura algheresi e ridotta ad uno stadio inferiore, come d'altronde tutte le altre manifestazioni culturali della popolazione sottomessa. Questa vicenda storica, forse la più sconvolgente, prepara ai danni di Alghero la perdita della sua identità e si proietta sino ai nostri giorni creando confusione e profonda incertezza. Canta Pino Piras, un nostro contemporaneo, nella lingua degli ormai antichi colonizzatori: "No sem cuiz, no sem cruns, no sem saldus ni aspagnols" (Non siamo cotti, non siamo crudi, non siamo sardi né spagnoli).
Forse con l'andare  degli anni anche Alghero e gli algheresi dipaneranno questa intricata matassa; intanto tutti noi continuiamo ad esprimerci e a scrivere in lingua italiana, quella che  sembra ormai destinata ad avere la meglio sulle altre due.
Ma la "musica algherese" ha una sua definizione precisa: infatti in città e nel resto dell'isola ed almeno in una zona extranazionale, cioè in Catalogna, per musica algherese si intende una composizione di musica leggera corredata da un testo in lingua catalano-algherese. L'importanza di questa forma di espressione artistica è grande, tanto più che sono convinto che buona parte della popolazione catalano-algherese parlante riscontra in essa una identità culturale specifica che la distingue dal resto della popolazione comunemente riconosciuta sarda.
Essendo personalmente un operatore di questa forma culturale, ed essendo io stesso un alghereseparlante, anche se mi ritengo etnicamente sardo, tempo fa ho portato avanti una interessante ricerca sulla musica algherese per scoprirne le origini, la collocazione, i contenuti, e non ultimo l'eventuale messaggio sociale.
Mi sono avvalso per questo lavoro della collaborazione di Angelo Ceravola e di un canzoniere da lui raccolto che comprende la quasi totalità delle composizioni a partire dalle origini, naturalmente di quanto è pervenuto fino ai nostri giorni.
Una delle osservazioni più immediate è che la tradizione scritta di queste composizioni è recentissima, ed i reperti antichi sono quasi totalmente scomparsi, soprattutto quando si tratta di composizioni popolari.
Ciò infatti disorienta sulla certezza di una tradizione, cosa che probabilmente sta nascendo ai nostri giorni frutto di tante manifestazioni e spettacoli.
Perché questo primo articolo non sia tutto premessa, entrerò subito in argomento citando il caso di una composizione religiosa "Goigs de Nostra Senyora de Vallvert" del 1852. Essa ha inevitabilmente il testo in lingua algherese, mentre è cantata su una melodia tradizionale della musica sarda.
Di fronte a casi del genere è chiaro che la curiosità si acuisce e sorgono alla mente mille perché ai quali si cerca di dare risposte. La mia ricerca non dà tutte le risposte, come è naturale allorché ci si muove in quasi totale assenza di documenti e soprattutto di una tradizione scritta.
Ho tuttavia elaborato alcune congetture che potrebbero essere il contenuto di alcune ipotesi.

Pubblicato nel numero di dicembre 1984 di "Nuova Comunità”


            Il porto visto dai Bastioni - tempera di Franco Ceravola Rosella


Parte II
Quanto di tradizionale catalano vi era in ciò che si cantava ad Alghero nella seconda metà del XIX secolo è stato raccolto dall'ormai noto libro di Eduard Toda, ma quando nel 1958-59 entrai a far parte di un gruppo di cultori della canzone algherese di questa tradizione non si aveva una idea ben chiara, tanto più che ci si riferiva ad un periodo e a delle composizioni che nulla avevano a che vedere con i testi riportati dal Toda, anzi di questo cronista venni a conoscenza molto più tardi, nel novembre del 1966, avendo scoperto per caso il suo libro nella Biblioteca Comunale. Della tradizione non è rimasto che ben poca cosa, quasi niente, tanto più che ai nostri giorni niente viene eseguito o ricordato o proposto. Vi è un vuoto quasi totale, nessuno si è preoccupato dopo Eduard Toda (1888) di rifare un po' ciò che aveva fatto l'ospite catalano, cioè di raccogliere per tramandare le espressioni poetico-musicali della città; si è ricaduti nella tradizione orale, ed è questo che ha fatto sbiadire il ricordo.

È evidente che la ricerca spinta al periodo pre-catalano, se fosse possibile, ci farebbe incontrare le espressioni musicali del periodo giudicale, prima di questo il mondo Bizantino, quindi Romano, così via sino al Nuragico per una strada percorsa a ritroso per approdare alle fonti dove attinse, ed in seguito si fermò e consolidò, la tradizione musicale Sarda.
Nel territorio algherese l'esistenza di una espressione musicale in periodo nuragico è testimoniata dal ritrovamento fra i reperti del nuraghe Palmavera di uno zufolo d'osso.
È importante tener presente la spiccata antipatia del Toda per quanto di non catalano era contenuto nelle forme espressive culturali della popolazione algherese da lui conosciuta. L'evidenza di quanto affermo si può riscontrare leggendo la sua breve recensione sulla figura e la poesia di Salvatore  Corbia, meglio conosciuto come Ciù Tarrat, del quale tra l'altro rimane ben poco o quasi niente, se non fosse il ricordo che egli fu un poeta improvvisatore.
Un collegamento con quanto raccolto dal Toda giunto sino a noi è stato possibile rintracciarlo attraverso una importantissima intervista effettuata nella Casa di Riposo di Viale della Resistenza con un signore di nome Ramon Sanna, detto Cocchetta, novantenne nel settembre del 1981.

Egli è nato nel 1891 a breve distanza di tempo dall'edizione del libro di Toda (1888) ed ha appreso dalla viva tradizione quei testi che anche il Toda aveva raccolto, ed è in grado di ricordarli e di ripeterli.

Fu sorprendente sentire dalla voce del signor Sanna cantare quei testi musicati, ed in una maniera del tutto inaspettata.

Pubblicato nel numero di gennaio 1985 di "Nuova Comunità"


Parte III
Il signor Ramon Sanna, essendo stato un contadino, mostrò di conoscere soltanto quelle canzoni che venivano cantate nella campagna di Alghero, anzi fu esplicito a tale proposito: chiestogli della  canzone "La molt de la Barona" (La morte della Barona) che un altro signore anziano intervistato aveva dichiarato essere di Ciù Tarrat, egli disse di non conoscerla affatto.
Le sue risposte ci portarono a conoscenza del fatto che in realtà, di ogni canzone che egli cantava, vi erano due versioni dell'esecuzione, una alla maniera sarda e l'altra alla maniera sardo-algherese.
Sollecitato a canticchiare i motivi, risultò che in effetti ciò che andava dicendo corrispondeva a verità. Infatti, trascritta la musica dalla registrazione effettuata, venne alla luce l'innegabile differenza caratteristica dei due modi espressivi.
Per intenderci la musica è quella di tante canzoni sarde come ad esempio "Bobore Ficumurisca".

La maniera sarda si avvale di quella scala melodica tradizionale che riscontriamo ancora oggi e che è la fondamentale caratteristica che contraddistingue l'originalità di questa cultura. Eccone un esempio:



Di questo tipo di composizione, soltanto ai giorni nostri si sta perdendo il ricordo, poiché, tempo addietro, ne avevo già sentito parlare. Essendo però di tipo popolare non veniva eseguita nelle manifestazioni musicali alle quali ho partecipato, mentre probabilmente veniva ancora eseguita dai contadini nelle serate festive passate a bere vino nelle taverne.
Il testo naturalmente è in catalano-algherese in entrambe le versioni musicali.
È evidente che si tratta di una dedica alla ragazza amata, quindi è una serenata.
Gli aggettivi usati per decantare le virtù e le bellezze della donna amata sono tratti in gran parte dal mondo agreste, soprattutto la similitudine dell'arancia sanguigna.
L'architettura poetica è una serie di terzine composta da versi ottonari. Da questa analisi sono portato a ritenere che si tratta di una composizione abbastanza antica, di difficile datazione, sicuramente tradizionale.
Mi sorge il dubbio che si tratti, addirittura, di una composizione della tradizione sarda, il cui testo è stato tradotto in lingua catalano-algherese, ed è con il tempo entrata a far parte dei canti popolari algheresi, soprattutto tra la consorteria dei contadini. Riporto di seguito le prime due strofe, per aggiungere elementi di giudizio.

Chi tarongia sanguinosa / Che arancia sanguigna
Iò a l'abra l'he mirara     / Io l'ho vista sull'albero
iò al cor ta tenc ancara  /Io ti tengo ancora nel cuore
Una rosa hi griglia           / una rosa vi nasceva
Al mamentu del dia        /nel momento del giorno
Per a tu na muriria.        /per te ne morirei. 

Il signor Sanna ha citato un'altra canzone che anche il Toda riporta, mentre questi non parla de "La tarongia sanguinosa". Si tratta forse di una composizione di epoca successiva?
Gli elementi musicali ed il contenuto poetico del testo ci farebbero supporre che forse è antecedente: Ma perché il Toda non ne parla?

Nota: le parole algheresi sono scritte secondo la pronuncia.


Pubblicato nel febbraio 1985 su "Nuova Comunità".


Parte IV
La "Tarongia sanguinosa" nella versione algherese è più briosa e spigliata, evidentemente il carattere dei nostri antichi concittadini, come oggi d'altronde, era più aperto e scherzoso rispetto al carattere degli abitanti dell'entroterra sardo.
Versione algherese della "Tarongia sanguinosa".


Eduard Toda riporta invece un'altra canzone che anche il signor Sanna ha citato e cantato. Il testo è il seguente:


Mon pare y mos germans
Mio padre e i miei fratelli
m'han privat la allegria
mi han tolto l'allegria
perché ells sont capellans
perché loro sono preti
volen que monja sia.
vogliono che io sia suora.
Mirau si anirà bè
Mirau si anirà bè
ferme monja per forsa,
farmi suora per forza
lo convent vaja a l'orsa
il convento vada in malora
que monja non serè.
che suora non sarò.


Nella versione del Sanna cambiano le parole del quinto verso pur conservando lo stesso significato. Infatti sono due espressioni del linguaggio algherese che lasciano intendere la stessa cosa: "Mirau si anirà bé" (Toda) e "I com això serìa" (Sanna)
Cambia anche qualche altra espressione fra la forma letteraria del Toda "la alegria" ed il linguaggio parlato del sig. Sanna "de alegria".
Questo fenomeno è da imputare soprattutto alla tradizione orale che produce appunto questi cambiamenti.
Come questa, anche altre canzoni riportate dal Toda sono composizioni in ottava; forse derivano dalla tradizione sarda?
Nel "Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. Il Re di Sardegna" di Goffredo Casalis edito a Torino tra il 1834 e il 1855, nei volumi dedicati alla Sardegna a cura di Vittorio Angius, a proposito di Alghero si legge: "USI - Tra questi devonsi rammentare "Las veillas", le Veglie in certe notti d'estate, nelle quali quasi in ogni strada da una parte all'altra stendonsi due o tre tende dette"Vermas" con un fanale sotto, dove si riuniscono a ballare i giovinetti e le fanciulle plebee al suono delle canne "deis launeddas".
L'Angius parla anche di tante altre cose, e dice che il costume dei contadini era nella prima metà dell'Ottocento quello sardesco, con una leggera variante: invece del gabbano usavano un giubbotto di velluto verde. Il volgare degli algheresi era a quell'epoca il catalano sebbene delle famiglie stanziatevisi nel XIV secolo dovevano essere rimasti ben pochi discendenti e ciò era possibile dedurre dai cognomi. Inoltre gli Algheresi usavano la lingua sarda con i villici.
Questo breve scorcio di un'epoca precedente la venuta del Toda di circa mezzo secolo ci presenta una Alghero quasi totalmente integrata alla restante cultura sarda.
È ciò che a me interessa per l'aspetto musicale.
Ribadisco infatti che è difficile oggi parlare ad Alghero di una tradizione musicale algherese derivata dalla musica catalana.

Pubblicato nel marzo 1985 su "Nuova Comunità"


Parte V 
Degli aspetti che ho fino ad ora trattati sono venuto a conoscenza di recente. Al momento dell'approccio con quello che avrebbe dovuto essere il mio mondo musicale, nell'ambito della mia cultura, questo era sepolto o relegato in qualche libretto a diffusione locale, conosciuto da una ristretta cerchia di gelosi cultori; forse l'analisi è un metodo di ricerca recente, per lo meno nelle nostre zone, ma è da questa che un giorno o l'altro, con l'insistenza, si riuscirà a tracciare la sequenza dei fatti la più possibile vicina alla verità.
La curiosità per le cose passate è ciclica, un po' come la moda, che dopo qualche anno ripropone gli stessi modelli, magari con qualche aggiornamento.
Difatti nel 1956 il gruppo di cui facevo parte con a capo Antonella Salvietti, si avvaleva di brani attribuiti alla tradizione: Daspeltata, Alghè mia, Gliuna veglia, A la vora de la mar, La pastureta, e altre.  A la vora de la mar e La pastureta sono canzoni decisamente catalane. Non avendo molti elementi per risalire alla loro origine penso che siano arrivate ad Alghero dalla Catalogna nella seconda metà dell'ottocento-primi del Novecento. Quanto questa tradizione fosse recente vengo a scoprirlo ora, perché da quanto detto dal Toda, e soprattutto dai brani cantati dal signor Sanna, che hanno effettivamente nei testi il sapore d'alcunché di antico, nessuno parlava. Il tradizionale era rappresentato da poche canzoni rivelatesi poi del primo novecento, con musica ispirata al melodramma italiano. Forse nei canti religiosi potrebbe essere individuato qualcosa di tradizionale catalano. Ma fino a che periodo si è mantenuta la tradizione? Ancora Toda ci parla de "Lo Senyal del Judici", originale perché cantata ancora ai suoi tempi in Catalogna e a Maiorca. Ma nella mia giovinezza non ho mai avuto occasione di sentir cantare durante funzioni religiose canti catalano-algheresi.
Evidentemente questa tradizione era già stata soffocata da una liturgia recitata interamente in latino e successivamente in italiano cancellando ogni ricordo di una liturgia in lingua catalano-algherese.
A proposito di liturgia "in lingua" ricordo che talvolta mia madre, quando ero ancora bambino, accennava a preghiere in catalano-algherese, ma diceva di non ricordarle bene. Parlo degli anni '50.
Ho voluto aprire questa parentesi perché so che la liturgia in Sardegna veniva recitata in sardo, ed ecco che Alghero si conforma a questa vera e genuina tradizione; non potendo usare la lingua sarda usa la parlata locale.
Ho già detto della composizione religiosa "Goigs de Nostra Senyora de Vallvert" del 1952. Di seguito riporto una strofa con la melodia sulla quale veniva cantata: sembrerebbe musica popolare sarda.



Chi ha possibilità di leggere la musica, tragga da solo le dovute conclusioni.

Il testo dice:

Com la nostra protectora    Come la nostra Protettrice
de cada temps seu estada     di ogni tempo siete stata
siau sempre nostra Advocada  siate la nostra Avvocata

de Vallvert Nostra Senyora Nostra Signora di Valverde
En las nostras afliccions       Nelle nostre afflizioni
Prompta seu a consolarnos    Pronta siete a consolarci
Y de aquella à lliurarnos       Da quella liberarci
En totas les ocasions           in tutte le occasioni
Y las nostras oracions          nelle nostre orazioni
Vos fassin intercessora         Vi facciano intercessora
Siau ...                          Siate ...  

La composizione è molto più lunga. La parte da me qui trascritta riporta la grafia usata dal Toda.

 Pubblicato nell'aprile 1985 su "Nuova Comunità".


Parte VI
Con tanta scarsità di documenti, sulla base di ricordi talvolta confusi e lontani, non posso essere esauriente nell'esaminare periodi molto distanti da noi, soprattutto mancando una traccia certa sull'età delle composizioni.
Non è stata scritta una sola nota di quei componimenti che nella raccolta del Toda sono chiamati canzoni.
Non rimane che dipanare la matassa sulla scorta dell'unica testimonianza orale vivente, il signor Sanna "Cochetta", per il quale queste composizioni ritenute antiche sono state da lui apprese in due versioni musicali: una sarda, l'altra sardo-algherese.
Prima di parlare del momento più importante della musica algherese, non mi rimane che citare ancora un testo che come tema e struttura può essere assimilato alle composizioni della scuola siciliana della corte di Federico Secondo. Certamente medievale, da convincere lo stesso Toda a definirla "cansò de amor que tè tot lo caracter de un romans vell".

Mariner, bon mariner,
que Deu vos donga bonansa,
vist haveu y conegut
el meu amador de Fransa?

Si può continuare a citare "canzoni" così chiamate, come quelle de "Lu sidaru" del 1820-1847, ma, come al solito, non vi è per queste un ricordo musicale. Anzi, si potrebbe azzardare l'ipotesi che questi versi non venissero cantati o che, essendo questi dei poemetti, ricalcassero gli schemi melodici usati dai "cantores" sardi nelle gare di improvvisazione.
D'altronde, secondo testimonianze storiche, sembrerebbe che i Catalani approdati nell'Isola e stanziatisi per un certo periodo in Alghero e successivamente estintisi, fossero rappresentati da soldati e da galeotti. Non si capisce quindi come questi potessero lasciare tracce di musica in un'Isola che nei millenni precedenti aveva codificato le sue espressioni musicali che sono arrivate intatte e genuine fino ai nostri giorni.
Questa era la situazione all'inizio del secolo, appresso alla venuta del Toda che si era guardato dal riportare nel suo volumetto tutti gli aspetti della musica algherese come li aveva trovati, essendo interessato a ricercare quelle tracce di catalanità che, essendo esigue, erano state assimilate dalla cultura sarda.
Il merito di aver conservato al lingua va alla popolazione sarda che ad Alghero ha appreso il lessico catalano adattandolo alla sintassi della lingua sarda.
Le stesse popolazioni sarde, riappropriatesi della città, hanno continuato secondo il loro costume ad accogliere ed ospitare in questo porto la gente di mare trasferitasi dalla penisola italiana.
Vedremo in seguito come questo fenomeno abbia influito sulla musica algherese, soprattutto per quanto riguarda la produzione di un certo periodo.

Articolo pubblicato nel maggio 1985 su "Nuova Comunità"


Parte VII - Il Festival 1985
Il 18 maggio 1985 nel Teatro Selva si è svolto l'ottavo Festival della Canzone Algherese.
Questa manifestazione è un significativo saggio di quanto gli operatori del settore musicale propongono nell'attualità. Un momento di sintesi e di proposta nell'ambito del nostro microcosmo culturale.
Tutto confezionato con uno squisito sapore casereccio, nel quale ci si riconosce ed è bene tuffarsi.
La sala è stracolma di spettatori, il pienone, e tanta gente in piedi quando il sipario si alza ed è tutto un susseguirsi di sorprese, frammiste alle immancabili, simpaticissime, rispettive disfunzioni di uno spettacolo in diretta fatto da dilettanti.
È l'arte più viva, quella vera, quella degli uomini così come la producono prima di manipolarla con la scuola e il tecnicismo. Niente feticci, tutto è immensamente grande e contemporaneamente piccolissimo.
A tratti l'amplificazione viene a mancare; nel chiudersi, il tendone rovescia il microfono che, con un fracasso infernale, batte sull'impiantito del palcoscenico; gli strumenti devono essere accordati ed è estenuante l'attesa dell'inizio del brano.
I presentatori usano un'infinità di lingue rendendo del tutto incomprensibile la nazionalità alla quale appartengono.
L'invadenza dell'organizzatore stiracchia paurosamente le lungaggini dello spettacolo, gli inciampi sono innumerevoli, il pubblico si diverte da matti.


                  Campanile di Santa Maria - Tempera di Franco Ceravola Rosella

È la festa dei giovani, sono i nostri ragazzi ad esibirsi, sono bravi, fantasiosi, spigliati, padroni della musica e degli strumenti. Voci di cantanti veri, come quelli reclamizzati dai mass-media, come quelli che guadagnano fior di milioni in una sola serata.
Macchiette e cabaret, majorettes e cuori infantili sono il contorno delizioso di questa insalata russa del nostro festival. Lo spettacolo è una vera e propria maratona, si sa pressappoco quando inizia ma non si sa quando finisce.
Dietro le quinte nessuna emozione, nessuna rivalità; è la festa di una grande famiglia che si ritrova con le proprie cose per sentirsi più vicina, più autentica.
Solo qualche autore firmatosi con pseudonimo si aggira tra le file delle sedie e la folla, in piedi, ansioso, alla ricerca di un trionfo che sarà banalmente ripetitivo ed effimero. Il contenuto delle composizioni quest'anno è a tema unico.
A parte le arcadiche affermazioni per un perduto Eden di una natura bella e incontaminata, vagheggia un generale senso di angosciosa solitudine esistenziale con riferimento ai poveri (fantasmi del passato) e a malati.
La musica è decisamente quella leggera, internazionale con, in qualche composizione, chiara e più positivamente marcata influenza della musica tradizionale sarda.
Tutte le canzoni sono sponsorizzate da ditte locali, che offrono abbondanza di trofei per cui nessuno è scontento, tutti portano a casa un qualche segno di questa premiata fatica e buona volontà.
Si arriva alle due del mattino quando il pubblico stremato dall'allegria e dall'estenuante attesa della conclusione di una scenetta, inizia a protestare: "Basta, è ora di finirla!"
E mentre sul palco si replica la canzone vincitrice, gli spettatori fanno ressa alle porte d'uscita per ritrovarsi all'aperto e respirare una boccata d'aria fresca da conciliare con il prossimo piacevole torpore del sonno.

Pubblicato nel numero di giugno 1985 di Nuova Comunità


Parte VIII
Dopo la breve parentesi di maggio, dedicata al festival della canzone algherese, riprendo l'illustrazione della mia indagine sugli aspetti della musica e delle canzoni della nostra città.
Siamo ormai giunti agli inizi del ventesimo secolo e, nella piccola Alghero, che si sta liberando dalle ormai antiche mura difensive, esplode, in un gruppo di intellettuali borghesi, il desiderio della ricerca di un'identità linguistico-culturale diversa da quella sarda e italiana.
"Intorno al 1906", come racconta l'avvocato Antonio Ballero nel suo libro "Cara de Rosas" anche Alghero ebbe la sua tardiva Agrupaciò catalanista denominata Palmavera.
Antonio Ballero dice anche che tale movimento culturale fu attivato da giovani "...preoccupati dalla possibilità di poter purificare il loro dialetto per allacciarsi in senso letterario e linguistico alla madre della tradizione gloriosa. Una ingenuità questo ritorno al catalanismo pure in una isoletta linguistica premuta, intorno, dal sardo logudorese, insidiata dalla lenta, continua, irresistibile italianizzazione".
Rimando coloro che volessero conoscere tutto quanto dice Ballero su questo movimento alla lettura del suo libro. Io dirò ancora soltanto che questi giovani furono sollecitati e incoraggiati da chi in Catalogna si occupava di questi fenomeni letterari. Cito ancora Ballero: "... non si impensieriscano per l'ignoranza dell'ortografia catalana, per ora possono redigere i loro articoli in algherese fonico e dire solo come pronunziano ..."
Questo episodio ha una importanza fondamentale per capire come è potuto succedere che ancora oggi si parli di Alghero come di una città catalana, degli algheresi come di catalani, della musica algherese come di musica catalana.
Personalmente reputo uno di più grandi difetti dei Sardi la loro eccessiva propensione per le cose straniere, sino a precipitare nella più sciocca esterofilia.
Io vorrei far notare a quei giornalisti sardi che continuano a parlare di Alghero come della "cittadina catalana", che si finisce con il cadere nel ridicolo esprimendosi così: "l'amministrazione catalana rasenta la crisi ... i dirigenti del partito esamineranno la rivolta del PSDI catalano ..." e così via, poiché sono certo che se tali definizioni venissero lette in Catalogna potrebbero avere per i veri Catalani il sapore di azioni di spionaggio.
Queste considerazioni ci portano un po' fuori tema, ma il mio desiderio è quello di cercare uno spiraglio nella più profonda oscurità dell'ignoranza.
L'Agrupaciò Palmavera produsse quindi musica algherese forse nella convinzione di riattivare una tradizione catalano-algherese che non si capisce bene se sia mai esistita. Non siamo riusciti sino a questo momento ad averne la certezza.
D'altronde della musica nazionale tradizionale catalana che accompagna il ballo "La Sardana" non si sa ad Alghero assolutamente niente, né mai alcuno ne ha fatto accenno. La Sardana, guarda caso, gli stessi catalani affermano, non ha nulla a che vedere con la Sardegna.



                                                    Barcellona - Monumento alla Sardana




La Sardana è un ballo tondo che, a mio parere, trae ispirazione da "su ballu tundu" sardo.

Pubblicato nel numero di luglio-agosto su "Nuova Comunità".


Parte IX
L'Agrupasiò "La Palmavera" fu costituita agli inizi del XX secolo assumendo una denominazione forse riferita ad un fatto culturale di rilevante importanza che in quegli anni si verificò nella campagna algherese, cioè lo scavo del complesso nuragico Palmavera ad opera dell'archeologo Antonio Taramelli nel 1905.
Fra i numerosissimi reperti rinvenuti si trovò uno zufolo d'osso a testimonianza del fatto che nell'algherese una tradizione musicale autoctona aveva diversi millenni di vita antecedenti  alla conquista aragonese. Ricordo inoltre che nei primi anni del novecento era attivissimo il teatro civico ove si effettuavano le stagioni liriche frequentate logicamente e principalmente dalla classe nobile-intellettual-borghese.
Altro fenomeno musicale fu l'approdo in città delle melodie napoletane di Piedigrotta che venivano importate dai pescatori di corallo di Torre del Greco.
Queste le due fonti alle quali i musicisti della Palmavera attinsero le loro composizioni, perché nella ricerca di una fuga dalla tradizione sarda rimasero comunque distanti dalla cultura musicale catalana che non conoscevano affatto data l'assoluta mancanza, per i tempi, di mezzi di trasmissione diversi da quelli orali, riguardanti questa espressione artistica.
Le arie del melodramma italiano arrivavano con le compagnie liriche, ed era quasi certamente possibile anche se con qualche difficoltà venire in possesso delle partiture, ugualmente dicasi per le melodie napoletane che nel porto saranno state presenti nell'arco dell'intera giornata, ripetute con assiduità dai nostalgici ceins (corallari).
Questi i soli mezzi di trasmissione della musica, quindi come sarebbe stato possibile produrre ad Alghero musica catalana non essendovi in quegli anni alcuno scambio concreto con quella che un poeta della Palmavera, Antoni Ciuffo, con lo pseudonimo Ramon Cravagliet (sassarese secondo recenti ricerche di uno storico algherese) definì "l'agognata patria" nei suoi versi che ora sono stampigliati sulla stele posta nei giardinetti della Mercede in ricordo del gemellaggio con la città catalana di Tarragona:

De la banda de ponent           /Verso il ponente
Hi ha una terra gliuna gliuna   /c'è una terra lontana lontana
És la nostra Catalunya         /è la nostra Catalogna
Beglia, ricca i rinascenta     /bella, ricca e rinascente

Forse la cosa più invitante e che stimolava il trasporto del poeta della Palmavera era la ricchezza catalana,con la quale la sua poverissima Sardegna, poco attraente in quegli anni sotto questo aspetto, non poteva certo competere.
Juan Pais, musicista, compose la serenata che sarebbe diventata in seguito l'inno della catalanità algherese dal titolo "Serenara a Tereseta" conosciuta con il nome di "Daspeltata", la prima parola del testo.

La serenata è una composizione generalmente inserita nel melodramma. La nostra in effetti ha due marcate influenze, sia nella musica che nel testo, che le derivano dal melodramma italiano e dalle serenate napoletane.
La musica che accompagna la strofa è decisamente classicheggiante, mentre quella del ritornello si accosta maggiormente al folklore napoletano. I versi del testo, di Ramon Cravagliet, sono ispirati dalle tematiche napoletana fatte di richiami dal sonno, di voci tristi nella notte, di chiari di luna, etc. cioè forse quanto di meno catalano si possa immaginare.
Rimane il lessico catalano-algherese che ha la funzione di dare alla composizione una connotazione culturale equivoca se la si riferisce al catalanismo, ma che invece acquista un'identità inconfondibile se riferita alla nostra città dove varie influenze ed accidenti storici si fondono creando una nuova curiosa originale cultura: l'Algherese.
Un elemento di grande importanza è inoltre dato dagli strumenti musicali che tradizionalmente accompagnano le canzoni algheresi e che sono la chitarra e il mandolino. Sono due strumenti musicali caratteristici delle musiche del napoletano. In Catalogna lo strumento che accompagna le sardane è la "tenora", uno strumento a fiato. In un pezzo musicale del complesso "La Trinca" che riguarda la "Festa Major" di Barcellona, ad un certo punto si dice: "Arriba l'hora de ballar sardanes, ja es posa la tenora e refilar...". Ad Alghero non si è mai utilizzato tale strumento musicale.
Gli strumenti musicali della tradizione sarda sono le launeddas e anche queste non sono presenti nel panorama della musica algherese.
Si può dedurre quindi che chitarra e mandolino non arrivano ad Alghero né dalla tradizione sarda né da quella catalana. 

Nota al testo: i nomi e le parole algheresi sono scritte così come si pronunciano e non secondo la grafia catalana, onde agevolarne la corretta lettura.

Pubblicato nel settembre 1985 su "Nuova Comunità"


Parte X
In seno all'Agrupasiò "La Palmavera" si raccolsero soprattutto poeti. La musica fu complementare, difatti i componenti dell'ormai storico sodalizio si cimentarono ben poco con questa disciplina, per cui fu scarsa anche la produzione; di questa due o tre brani sono giunti sino a noi con tale incertezza delle composizioni e della loro esecuzione che ancora oggi vi sono inesattezze e differenze a seconda di chi le interpreta. La stessa "Daspeltata" (Svegliati) la si canta con qualche piccola variazione rispetto la partitura originale, tanto più che prima di esserne venuto in possesso avevo appreso dalla tradizione orale una melodia un po' diversa, frutto dell'adattamento ad una esecuzione popolaresca, meno "classicheggiante".
Altre due composizioni, screditate dai cultori alla tradizione catalana, "La Pasturata" e "A la vora de la mar", suppongo che siano state importate dalla Catalogna nel periodo della Palmavera, dal momento che lo stesso Toda non le cita nel suo libro. Inoltre la struttura del verso ed il lessico usato sono leggermente diversi dalla parlata algherese e molto vicini a quella catalana. I Catalani affermano che queste composizioni sono conservate dalla loro tradizione e ancora oggi eseguite.
Tuttavia questa mia ultima supposizione non è suffragata da alcuna prova soprattutto perché non vi è alcuna possibilità di datazione. A questi frammenti della tradizione musicale algherese si sovrappone un lungo tempo di silenzio.
Le due guerre mondiali fanno cantare strumenti diversi e la presenza del suono della morte non lascia spazio ad altri strumenti se non a quelli dell'angoscia e del terrore.


          Via Principe Umberto con le case sventrate dalle bombe degli "alleati".
                        (Foto 18 maggio 1943 di Arturo Usai)

Finita la guerra nel 1945 inizia il periodo della ricostruzione. Alghero ha subito spaventosi bombardamenti, ed il tessuto urbano del centro storico è ancora cosparso dei cumuli delle macerie degli edifici distrutti.
La povertà domina nelle faticose giornate che ci allontanano dai lutti e dalle rovine. Rinasce la speranza, ritorna la musica delle chitarre e dei mandolini.
Anche da noi, come nel resto d'Italia, i soldati dell'esercito di liberazione lasciano traccia delle loro canzoni, ed io come tutti i miei coetanei, in gruppo per le strade, nei momenti di euforia cantavo "Aulera pistuldì, aulera pistuldà"
Dopo poco tempo con la ripresa economica, le case si riempiono della musica trasmessa dalla radio, ed essenzialmente di musica leggera italiana e di canzoni napoletane.
Nasce il festival di Sanremo e rivive in una nuova splendente cornice il festival partenopeo di Piedigrotta.
Le canzoni algheresi si sentono raramente. Sono repertorio di serenate notturne, delle scampagnate, dei canti nelle bettole, degli stabilimenti dove si lavora la palma nana, "lu crino".
La più popolare è "Daspeltata" seguita da "O gliuna veglia"; queste sono infatti le prime due melodie da me apprese ed amate nell'adolescenza, prima che capissi l'importanza ed il valore della mia cultura.

Pubblicato nel numero di ottobre 1985 di "Nuova Comunità"


Parte XI
La volta scorsa mi sono fermato intorno agli anni cinquanta.
Nel decennio successivo si verifica una nuova ripresa della canzone algherese alla luce di un avvenimento che ripropone alla città la tematica dl suo folklore. Infatti un gruppo di algheresi partecipa alla fortunata trasmissione radiofonica "Il campanile d'oro" consistente in una sorta di sfida canora fra le regioni italiane attraverso il loro folklore. La Sardegna era rappresentata da due cori sardi, la "Brigata canora" di Alghero ed il coro di Aggius. In finale arrivarono la Sardegna, la Sicilia, la Puglia e la Lucania. Il campanile d'oro fu assegnato alla Sicilia, ma il risultato non piacque  a molti poiché la Sardegna aveva suscitato grande entusiasmo di pubblico. Per gli algheresi  vi fu una particolare attenzione in quanto suscitò grande curiosità la differenza fra il loro idioma e gli altri linguaggi. Il gruppo algherese era composto, tra gli altri, da Pasqualino Pirisi accompagnato da sua moglie, dall'avvocato Ballero, da Isabella Montanari e da Antonella Salvietti. Fece un'esperienza favolosa per cui, anche qualche tempo dopo, pur essendo oramai sciolto il sodalizio, alcuni di essi, rimasti saldamente legati a quel ricordo, tentarono di costituire un coro che continuasse ad eseguire le canzoni algheresi.
A questo gruppo fui aggregato nel 1957, assieme a mio cugino Angelo Ceravola e a Giovannino Niolu. Angelo e Giovannino erano gli accompagnatori con la chitarra e io divenni una delle voci soliste  del coro. I promotori di questa iniziativa furono Bastianino Loi e Antonella Salvietti con il fratello Mario Salvietti. Tutti e tre avevano fatto parte della brigata canora del "Campanile d'oro". Così entrai nel mondo della canzone algherese anche se il  nostro  interesse di ragazzi era maggiormente rivolto verso la musica leggera internazionale, tanto più che in quel periodo cominciava ad espandersi nel mercato la musica anglosassone, dapprima con l'arrivo dall'America del rock'n roll, poi  man mano con tutte le varie espressioni e variazioni di questa forma musicale. Divenni un esponente della musica algherese ed ebbi modo di apprendere quanto vado raccontando in questa serie di articoli. Il gruppo aveva l'ambizione di conservare le canzoni algheresi della tradizione e di proporre nuove composizioni  di autori contemporanei. Fra i più programmati nei repertori vi erano i fratelli Dalerci, Pasquale Gallo, Loi, il maestro Nannarelli e i cugini Ceravola.
Ciò che si riuscì ad ottenere fu, come ho già precisamente detto, un rinnovato interesse per questa espressione del sentimento cittadino, anche se la forma rimane più o meno improvvisata, con poche basi musicali, e soprattutto frutto di un volontariato mirabilmente eroico. Ad onor del vero non voglio tralasciare di dire quanto era avvenuto qualche anno prima della trasmissione del "Campanile d'oro", quindi dovrò accennare ad un altro fatto sufficientemente emblematico.
Il gruppo del "Campanile d'oro", nato nell'ambiente universitario aveva, per spirito goliardico, messo in scena al teatro Civico, alcuni spettacoli musicali. Nel libro "Cara de rosas" l'avvocato Ballero, a suo tempo esponente della compagnia, racconta tutta la vicenda ed i vari spettacoli realizzati. Riferisce che, partiti da uno spettacolo in lingua italiana, nel quale erano stati inseriti brani con testo in algherese, avevano notato che il pubblico aveva mostrato di gradire maggiormente questi ultimi, per cui finirono per rappresentare commedie musicali interamente scritte e cantate in algherese. Il più rappresentativo autore di questi lavori fu il dott. Gavino Ballero, fratello di Antonio, il quale, riprendendo dal sacro testo del Toda le poesie de "Lu Sidaru" compose un lavoro teatrale dal titolo  omonimo, il cui successo ebbe in città risonanza per un buon ventennio.

Pubblicato nel gennaio-febbraio 1986 su "Nuova Comunità"


Parte XII
Intorno agli anni settanta nasce il " Festival della Canzone Algherese ", per cui, la produzione di canzoni, viene fatta esplodere da questa manifestazione, copia dei quelle nazionali. Comunque l'agonismo ha un suo fascino e stimola alla partecipazione, io stesso non ne fui immune, ed in alcune edizioni partecipai come cantautore anche se non ottenni mai una vittoria. Ciò che comunque mi interessa maggiormente è l'analisi di ciò che successe alla Canzone Algherese.
Gli autori non ricercarono più un legame con il passato, anche se recente, ma si misurarono con il folclore internazionale, maggiormente con la musica leggera internazionale. Si è quindi perduta anche quella vena partenopea che era stata presente in tutta la produzione del dopoguerra. La mia esperienza più recente è stata la partecipazione al concorso "Una canzò pe' l'Istiu" nel Luglio dell' 84. Indubbiamente questo nuovo orizzonte della canzone Algherese si arricchisce di contenuti e di espressività. In effetti i ragazzi di oggi hanno un maggior bagaglio di cultura musicale, sono più aperti alle esperienze altrui e di queste sanno servirsi. Forse nella nostra gioventù fummo anche noi portatori di gradevoli novità, anche se ci siamo un po' impegnati a conservare il carattere delle canzoni della tradizione che per noi, anche se recente, fosse la continuità di uno degli aspetti della nostra cultura. Per tornare comunque al tema principale affrontato in questa serie di articoli spero sia emerso con sufficiente chiarezza che la canzone algherese non è frutto di una tradizione musicale in quanto non è mai esistita una Musica Algherese, come invece è nella tradizione Sarda nella quale sin da epoche remote si sono codificate melodie ed armonie assolutamente originali. Come in tutte le Culture che hanno una vera tradizione musicale questa immancabilmente accompagna il ballo, manifestazione assolutamente assente nella popolazione algherese. La recente vicenda delle nostre canzoni non ha per antenata la tradizione musicale dei Catalani.
Siamo in presenza di canzoni popolari riscontrabili in quasi tutte le città del mondo, soprattutto in Italia dove sono celebrate con il canto le bellezze ed il rapporto d'affetto con la propria città.
La storia più recente è che dopo la fine delle manifestazioni del Festival della Canzone Algherese, per qualche tempo si è continuato ad organizzare spettacoli con la presentazione delle nostre canzoni. E' nata una copiosa produzione di CD per soddisfare il mercato turistico, e ciò ha portato le nostre canzoni in tutte le parti del mondo. Una delle televisioni locali le manda in onda quotidianamente. La nostra musica è ben presente in città. Piuttosto un fenomeno di arretramento si è avuto nella produzione di nuove melodie dovuto all'allontanamento dei giovani musicisti, la quasi totalità dei quali non parla l'algherese, sia perché nati in famiglie di lingua Sarda sia perché nati da coppie di differenti parlate per cui ha trionfato l'Italiano.
A chiusura di questa serie di articoli sul tema specifico della Canzone Algherese mi corre l'obbligo di annotare che pur avendo scritto un copioso numero di testi di canzoni nella parlata della ormai esigua minoranza di cittadini di Alghero, non ho mai sospettato una mia diversa identità che non fosse quella di Sardo di cultura Sarda nato e cresciuto nella sardissima Città di Alghero.

Franco Ceravola Rosella

Per commenti
tilgio@virgilio.it






Nessun commento:

Posta un commento