(Franco Ceravola Rosella -pastelli ad olio in plein air)
Articolo di Franco Ceravola (1940-2023) sulla sua esperienza nella Cooperativa Edile Algherese pubblicato il 17 novembre 1974 su "Questioni Algheresi" periodico quindicinale diretto da Antonio Feniello.
Franco racconta gli eventi quando ormai il bel sogno di una importante realtà lavorativa creata da algheresi era svanito dimostrando che gli ideali hanno questo nome proprio perché non si realizzano.
- Una questione algherese da meditare -
ESPERIENZA DI UN COOPERATIVISTA
Il Geom. Franco Ceravola, aderendo all'invito esteso da questo giornale a quanti avessero voluto illustrare problemi e situazioni interessanti la vita economica della nostra città, ci ha inviato l'articolo che segue in cui tratta della sua esperienza di socio della Cooperativa Edile Algherese.
Di quanto in questo articolo è detto, è ovvio, il Geometra Ceravola si assume la piena responsabilità. A noi interessa porre all'attenzione degli Algheresi il fatto, perché lo giudichino e ne traggano quelle considerazioni che necessariamente portano alla soluzione di un dilemma.
I tanto deprecati padroni non sono talvolta migliori dei "Colonizzatori" che arrivati dal continente credono di trovarsi in Beciuania? Non sono forse queste forme di colonialismo, anche se fatte sotto l'insegna di ben qualificate etichette politiche, la premessa per aprire un discorso, o se si vuole, un dibattito su quanto avviene nella nostra città in materia di sfruttamento della mano d'opera sia intellettuale che manuale e far rompere così, meditando, certi specchietti che non sono più validi neanche per le allodole?
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Chi scrive è stato uno dei fondatori della Cooperativa Edile Algherese, una struttura sociale impegnata nel tentativo di trasformazione delle condizioni di una categoria di lavoratori in proletariato valido e cosciente.
Nel porre all'attenzione del pubblico un fatto anomalo, si rischia, si sa, di avere in risposta delle interpretazioni erronee o comunque lontane dall'intenzione di chi espone.
Tuttavia se sinceramente si è mossi da uno spirito di verifica di una situazione, l'applicazione di un'analisi critica è doverosa come è doveroso, nel limite dell'umano, il non lasciarsi trascinare da passioni interiori che potrebbero sviare dalla giusta interpretazione dei fatti.
Si sa che come struttura organizzativa, la cooperazione è prospettata come la forma più sublime dell'associazionismo per combattere il cosiddetto malcostume dell'interesse privato.
Attraverso queste strutture, si possono inoltre trasformare non solo le condizioni di disagio economico e morale degli adepti, ma lo stesso ambiente circostante, l'economia della zona nella quale si vive: la propria Regione.
Il fine che ci proponevamo era la lotta alla speculazione, qualunque essa fosse e nel caso specifico quella edilizia, lotta allo sfruttamento degli operai, lotta alle forze antidemocratiche che allignano nella nostra società composita e pluriclasse.
La regione in cui si doveva operare: la Sardegna; la località prescelta: Alghero, che come sappiamo sono entrambe ricche di innumerevoli sciagure, ma possiedono una carica vitale ed umana da dovere poche concessioni al nuovo consumismo espansionistico dei grandi blocchi economici.
Consci di questa situazione nel fondare la cooperativa ci si poneva anche il problema di valorizzare con essa le nostre tradizioni di lavoro nonostante sapessimo benissimo che tutta l'economia è oggi controllata a livello nazionale; forse questa era la parte più utopistica e ideale del programma, ma facendo affidamento sul nostro sentimento di uomini liberi e coscienti della nostra dignità e capacità di poter intraprendere una via "tutta nostra" per aggiornarci con i tempi, basavamo questi nostri intendimenti su questi ideali, ciò perché nessuno di noi si sentiva privo di quello spirito di intraprendenza comune ad altre popolazioni, per cui ci sentivamo atti a contribuire all'eliminazione di quell'aspetto insulare non solo geografico, della nostra Isola.
I nostri padri hanno vissuto la loro realtà di isolani, hanno tradizionalmente accolto i continentali con ospitalità sacra e inviolabile, e molto probabilmente hanno anche capito di trovarsi nell'ambito sociale della Nazione come i reietti.
Ma noi siamo figli di quei padri ai quali non manca il mezzo che a loro era mancato, la comunicazione e la conoscenza delle cose che avvengono intorno a noi per cui non ci dispiacque la soluzione di instaurare rapporti di natura economica e tecnico amministrativa con chi, molto più esperto di noi in fatto di cooperazione ci si presentava casualmente per darci una mano a sviluppare tutto il nostro programma.
Quali erano gli accordi che su questa base nacquero tra la Cooperativa Edile Algherese ed il Consorzio delle Cooperative di produzione e lavoro della Provincia di Forlì?
Partendo dal presupposto dell'obiettivo che ci si era prefissato al momento della fondazione della Cooperativa che tendeva alla trasformazione della industria edile da nomade in fissa con la creazione di uno stabilimento per la produzione di case prefabbricate, e poiché nessuno di noi poteva di punto in bianco improvvisarsi tecnico per la costruzione ed avviamento di uno stabilimento del genere, furono stabiliti degli accordi verbali con il Consorzio delle Cooperative Forlivesi perché esso fosse di supporto alla nostra attività.
Questi accordi contemplavano, come quota di iscrizione al Consorzio delle Cooperative, il pagamento da parte della Coop. Algherese dell'1,50% sul fatturato lordo annuo dei lavori. Altro 0,50 % doveva essere versato sempre dalla Coop. Algherese alla Federazione Provinciale delle Cooperative. Su un miliardo di fatturato lordo in un anno, venti milioni dovevano essere versati nella misura di quindici milioni al Consorzio di Forlì e cinque milioni alla Federazione Provinciale della lega delle Cooperative. Rimaneva inoltre stabilito che il consorzio delle Cooperative di Forlì avrebbe anticipato i capitali necessari per condurre le opere appaltate, percependo sulle somme anticipate il relativo interesse che, a nostro avviso, non poteva essere inferiore a quello bancario.
Su queste basi si strutturava la cooperativa dotandola di un Consiglio di Amministrazione di cinque membri dei quali uno presidente, ma tutti muratori. Anche il collegio dei sindaci revisori dei conti veniva formato da tre muratori. Di pari passo venivano appaltati lavori e il primo biennio di attività produsse un risultato che può essere senz'altro ritenuto positivo, considerata la situazione dell'edilizia in campo nazionale e regionale, di un miliardo circa di fatturato lordo.
Questa mole di lavoro faceva sì che si strutturasse ulteriormente la cooperativa nei suoi servizi tecnici ed amministrativi, veniva inoltre aumentato il numero dei soci, scelti fra le maestranze alle dipendenze di essa.
Contemporaneamente però cominciarono a sorgere le prime perplessità determinate da una massiccia azione di controllo e di ingerenza nei fatti della Cooperativa Algherese da parte del Consorzio delle Cooperative di Forlì. Infatti coloro i quali possedevano i requisiti per poter contribuire al miglioramento venivano di proposito tagliati fuori dagli organi decisionali di essa. Non solo ma la direzione tecnica ed il controllo amministrativo della cooperativa passano ai Forlivesi, ai quali vengono liquidate le relative spese.
A noi pur "Emancipati" rispetto ai nostri padri non restava che prendere atto di questa situazione e chiederci a che cosa fosse servita tutta la spinta ideale che aveva determinato il sorgere della cooperativa se non che ad assistere ad una nuova forma di colonialismo, questa volta non voluta dal "Padrone", ma da chi presentandosi da democratico ha più efficacemente di lui aggiornato il sistema tanto che noi eufemisticamente lo abbiamo definito "Colonialismo democratico".
A riprova di ciò non abbiamo difficoltà a dimostrare, a quanti eventualmente ci volessero porre domande, in che modo questo colonialismo si manifestasse.
Non è forse colonialismo quando si impedisce di partecipare attivamente alla vita dell'azienda che loro stessi hanno creato, per cui il Consiglio di Amministrazione della cooperativa si occupa più che altro di disciplina?
Non è forse colonialismo quando con chi tenta di far valere le proprie ragioni si usa il linciaggio morale accusandolo di incapacità per porlo in condizioni di abbandonare il posto e sostituirlo con un tecnico proveniente da Forlì?
Non è forse colonialismo assumere alle dirette dipendenze della Cooperativa Edile Algherese le mogli dei tecnici provenienti da Forlì vanificando così anche lo scopo di creare nuovi posti di lavoro per la mano d'opera locale?
Non è forse colonialismo quando facendo leva sulla nostra necessità di lavorare dovevamo subire gli ordini che ci imponevano di spostarci in altre zone lontani dalle nostre famiglie?
Non è forse colonialismo pretendere che si segni sul foglio di presenza il solo orario di entrata e non anche quello di uscita tanto che la giornata lavorativa invece che di otto ore diventava talvolta di dieci ed anche di dodici ore?
E per finire non è forse colonialismo approfittare della situazione di disoccupazione e di disagio degli edili algheresi e di altri paesi e condurli a lavorare in Costa Smeralda , dove le retribuzioni degli edili hanno superato di gran lunga il minimo tabellare, e pagarli secondo le tabelle costringendoli altresì a rifocillarsi in una baracca da cantiere senza l'approntamento della mensa con quei requisiti tanto precisi richiesti dai "democratici" rivendicatori di più umani trattamenti per la classe operaia?
Posti tutti questi interrogativi a noi che ci siamo formati tenendo presente quanto veniva emergendo in fatto di conquiste sociali il dubbio di avere non solo progredito, ma regredito rispetto alle tradizionali condizioni di lavoro, è sorto in modo talmente macroscopico tanto da farci soffermare e rimeditare attentamente sulla reale funzione che la cooperativa la quale avevamo contribuito a fondare non assolvesse ai propositi prefissati.
Tutto ciò lo abbiamo voluto dire non per un senso di rivalsa, ma per illustrare a chi avesse intendimento di costituire cooperative sui risultati conseguiti dagli Algheresi con la Cooperativa Edile Algherese.
Avremmo voluto non dover rendere pubbliche queste nostre esperienze, solo che chi aveva la responsabilità della direzione della Cooperativa avesse ascoltato le nostre osservazioni, tendenti più che altro a non veder mortificato l'entusiasmo e la volontà che i più di noi avevano posto nella fondazione della cooperativa.
La mancanza di dialogo, l'assoluto dispregio posto dalla dirigenza nell'instaurare un rapporto di collaborazione costruttiva basata sulla discussione, ci hanno posto nella condizione di rinunciare al nostro permanere in un'azienda nella quale tanto avevamo creduto e sperato.
F. C.
STORIA DELLA COOPERATIVA
La Cooperativa Edile era nata intorno al 1970-71. Non so esattamente la sua origine ma, nella migliore delle ipotesi, posso immaginare che un partito di sinistra abbia spinto perché ad Alghero si creasse una realtà economica in linea con i suoi dettami. Il presidente fu Carmelo Peana (P.C.I.) e il vicepresidente fu Antonino Corrias (P.S.I.), entrambi operai edili. Fu coinvolto sin dall'inizio il geometra Franco Ceravola, di tradizione socialista, iscritto al partito. Egli diede un attivo apporto alla stesura dello Statuto e al disbrigo delle prime formalità della nuova impresa. La Cooperativa iniziò l'attività con piccoli lavori ed ebbe subito un significativo incremento per cui assunse altri operai, geometri, un ragioniere, una segretaria. Iniziò ad appaltare la costruzione di palazzine in un periodo nel quale Alghero era diventata un cantiere con un'espansione nel territorio veramente importante iniziata nel secondo dopoguerra e ancora in atto. Ben presto arrivò l'appalto di un albergo, il Porto Conte. L'impresa era sempre in stretto contatto con i partiti socialista e comunista di Alghero e a questo punto accadde qualcosa di particolare perché arrivarono in città i soci di una Cooperativa forlivese che avevano il compito di dare supporto finanziario, e non solo, agli algheresi. Qui si pongono numerose domande alle quali non so rispondere. Chi li chiamò? Per qual motivo si pensò di dare alla nostra Cooperativa un aiuto del quale non aveva alcun bisogno? La risposta è nelle parole di Franco Ceravola quando afferma che "nessuno di noi poteva di punto in bianco improvvisarsi tecnico per la costruzione ed avviamento di uno stabilimento del genere". L'accordo era dunque quello di ottenere un supporto tecnico ed economico.
Nel frattempo la Cooperativa aveva acquistato un appartamento al piano terra della palazzina di Guido Amadori che si trovava all'angolo tra Via Sant'Agostino e Via Rossini e questo era un chiaro segno di espansione dell'Impresa. In breve tempo alcuni geometri forlivesi e le loro mogli che, appena arrivate in città, venivano assunte senza andare troppo per il sottile, iniziarono a riempire i nuovi uffici. Naturalmente a loro venivano assegnati anche i necessari alloggi. Tra gli impiegati algheresi sorsero dei dubbi e dei sospetti dato che notavano che i nuovi arrivati venivano palesemente privilegiati e stavano assumendo un ruolo predominante nell'impresa. Franco Ceravola, socio fondatore, notò lo squilibrio che andava creandosi tra algheresi e forlivesi e iniziò a mettere in guardia la dirigenza ma non ottenne alcun riscontro. La situazione andava sempre più sbilanciandosi verso i forlivesi e a quel punto gli algheresi, visto che la dirigenza non intendeva intervenire, e cercava altre vie per rabbonire i dissidenti, si rivolsero ai sindacati. L'8 giugno 1974 si fece una riunione sindacale con otto partecipanti e si decretò uno sciopero ad oltranza. Gli algheresi non si recarono più al lavoro, il ragioniere ritirò i suoi registri perché temeva manipolazioni da parte dei forlivesi, e si restó in attesa di una composizione della vertenza. Ci fu una denuncia alla Guardia di Finanza e quando i finanzieri arrivarono negli uffici i forlivesi cercarono di far sparire i registri in loro possesso ma non ci riuscirono. La finanza fece il suo lavoro, applicò delle pesanti sanzioni, e nel frattempo lo sciopero continuava. Arrivarono lettere di licenziamento e gli scioperanti si rivolsero ai segretari dei sindacati, in particolare alla UIL, ma il problema era più vasto di quanto si pensava e a livello locale non si poté intervenire. Anche i segretari cittadini del partito socialista e comunista non vollero o non poterono riportare la questione in termini di dialogo e di confronto. Infine ci fu l'udienza che decretò l'illiceità dei licenziamenti e diede a tutti la possibilità di riavere il proprio lavoro o un risarcimento. Qualcuno accettò di rientrare ma la maggioranza rifiutò quell'accomodamento e lasciò la Cooperativa. Intanto i soci rimasti furono chiamati a fare dei sacrifici per rimettere in piedi una struttura che a quel punto era gravemente compromessa. Evidentemente la dirigenza fu molto convincente perché diversi di loro diedero contributi in denaro per continuare a tenere in vita l'impresa. Ma quella fu un'ulteriore truffa, due soci persero anche la loro abitazione e infine tutto si dissolse nel nulla.
Negli anni a venire alcuni soci, raccontando le loro successive disavventure a Franco Ceravola, gli dissero che aveva avuto ragione nella sua protesta e aggiunsero che avrebbero dovuto agire diversamente. Magra consolazione per chi aveva sognato una realtà imprenditoriale locale basata sul rispetto dei diritti dei lavoratori, e purtroppo aveva dovuto constatare che il colonialismo è un male insito nel DNA di un popolo che non era riuscito ancora a liberarsi dalle catene.
Possiamo sempre lamentarci dell'oppressione che realtà esterne esercitano su di noi se noi stessi, in cambio di esigue ricompense, li aiutiamo nella loro opera di sopraffazione?
Mi fa ancora male pensare a quegli eventi che ho vissuto con tanta partecipazione e sofferenza. Anche per me è stato il crollo di ideali nei quali credevo davvero e da allora ho capito che il potere si nutre delle sue vittime e ne fa scempio. Il peggio è che il potere trova sempre i mezzi per ottenere ciò che vuole, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo e non c'è difesa per nessuno.
G. T.
Per chiarimenti:
tilgio@virgilio.it

